La Valle d’Aosta è la regione più piccola, meno popolata e la seconda più ricca d’Italia; una geografia tanto affascinante quanto particolare nei suoi differenti aspetti morfologici da portarla per certi versi a diventare una gemma decontestualizzata dall’intero panorama del nostro caro bel paese. L’aria pura che ti inonda i polmoni e i ruscelli che ti ispirano la domanda: “cosa c’è di meglio al mondo?”. Sarà probabilmente merito questa piccola regione, tanto differente dal resto dell’Italia, che i musicisti coinvolti qui non s’inseriscono all’interno dei tipici standard melodici nazionali.
Si sa che nei territori di montagna si narrano sempre leggende e storie di altri tempi, creature misteriose e incontri ravvicinati del terzo tipo. Anche nell’ormai lontano 1997 un incontro tra ragazzi ha dato vita ad una creatura di bellezza musicale sorprendente, al limite del soprannaturale; un’unione di tecnica e intensità che prima d’ora si era vista solamente nelle lontane terre della Florida meridionale, là dove un signore di nome Chuck Schuldiner diede vita ad un mastodonte che tutti ricordiamo chiamato Death.
E’ proprio in Florida che questo platter prende le sue radici e le allunga sino alla Valle D’Aosta dove gli Illogicist sono riusciti a far rivivere gli echi d’oltreoceano. Appresa la lezione di maestri quali i già citati Death, gli Atheist e i Pestilence, i nostri sono riusciti far riaffiorare ricordi di quel tecnicismo che, una volta, era pura espressione di un’anima in costante litigio tra inferno e paradiso, mentre oggi è divenuto totale autoproclamazione del chitarrista di turno senza un briciolo di passione.
Andando ad approfondire il tema prettamente musicale di questo piccolo gioiello dei tempi moderni si nota come la produzione porti a valorizzare ogni singolo passaggio. Il basso diDattolo ricorda molto quello del miglior Steve Di Giorgio e diventa strumento a sè, non più di sfondo, creando una struttura con vita propria. Le chitarre son pulite e la loro dose di cattiveria e armonia esce ad ogni cambio di tempo; Ambrosi e Minieri hanno effettuato un accurato lavoro per portarci in lidi caleidoscopici distorti. Proprio Minieri si occupa delle vocals e queste hanno un vago richiamo al tipico cantato blackish; infatti la doppia vocalizzazione dona un’enfasi lugubre e ricorda quella puzza di zolfo che risiede all’interno di The Unconsciosness Of Living e che diventa protagonista. Ultimo, ma non per importanza, il pregevole lavoro di Tinti alle casse, dove un Gene Hoglan al massimo della forma sarebbe onorato di sentirsi messo in causa come termine di paragone per i quarantacinque minuti della durata.
Considerando la proposta e la descrizione fatta sino ad ora potrebbe venire in mente una domanda: “ma non abbiamo già sentito queste note?”. Infatti l’unico neo, se così possiamo dire, risiede proprio nel “già sentito”, nella mancanza di una vera innovazione e di un “vorrei, ma non posso” che, probabilmente, ha convissuto con la band durante l’arco di tutta la fase compositiva del disco. Le canzoni per quanto di ottima fattura richiamano a “tout court” ogni composizione già creato dal nostro caro Chuck andando a ripescare ogni elemento presente in dischi quali Human e Symbolic.
Le canzoni scivolano via in maniera fluida ed è quasi impossibile citarne una fra tutte e definire le migliori del lotto. Una volta premuto il pulsante “play” per i successivi tre quarti d’ora sarete pervasi da una pioggia di cambi tempo, melodie e sfuriate al limite del umana comprensione. Canzoni quali Mind Repaer ed Hypnotized saranno impossibili da scordare sin dal primo approccio e non ci sarebbe nulla di strano nel sorprendersi a canticchiarle nella nostra testa di continuo.
Gli anni trascorsi dall’uscita di The Insight Eye son tanti, ben quattro, ma come non poter dire che ne è valsa la pena?. La tecnica è stata notevolmente migliorata, le canzoni son meno barocche e più dritte al punto, per quanto non lineare esse siano. La consapevolezza delle proprie capacità ha fatto sì che il marchio del gruppo rimanesse intatto senza andare a snaturare la propria anima ormai maturata a pieno. Un prodotto sopraffino che farà sicuramente aprire un varco di luce all’interno del mercato sovraffollato di gruppi vuoti e senza linfa vitale. La musica è arte e gli Illogicist hanno scolpito il loro David nel 2011; attendiamo che il mondo li riconosca e non li lasci sprofondare nell’oceano di gruppi definiti solamente “bravi”. Questo disco è la guida che ci porta non in un tranquillo paesaggio di collina, bensì attraverso un cammino tra le cime vertiginose di montagne senza età dove d’ora in poi i racconti dello yeti saranno affiancati da quelli n un gruppo di ragazzi che si facevano chiamareIllogicist.
L’incoscienza del vivere è proprio quella di saper rischiare senza avere paura.
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