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mercoledì 21 marzo 2012

FAUST - From Glory To Infinity (Review - Underground Metal Italia)


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TitoloFaust
DescrizioneFrom Glory To Infinity (2009)
Inviata dachrisplakkaggiohc
Questa meritevole band si chiama Faust ed affonda le sue radici nel lontano 1992 (e colpita anche da molti cambi di formazione), l’anno seguente esce il loro primo demo, dopo un lungo silenzio nel 2001 un Ep intitolato “…And Finally Faust” e solo nel 2009 il loro full lenght, ed è di questa piccola perla nera che vi parlerò. Della line up originaria è rimasto solo il Cantante/chitarrista Aleister che è adornato da altri validi musicisti (alcuni ben noti) come Steve Di Giorgio (Sadus, Death, Control Denied,Testament, Iced Earth & More); Ghiulz Borroni ( Bulldozer); Dariusz “Daray” Brzozowski (Dimmu Borgir, Vader, Vesania & more) e Luca Princiotta (Doro, Clairvoyants, Blaze) quest’ultimi due da quello che ho capito sono stati dei sessionists…Comunque con questa premessa serve da aggiungere altro?
PURPLE CHILDREN ci proietta subito in ambiti Death Metal novantiano con un spiccatissimo senso melodico che riesce a creare momenti sublimi, la voce proviene dalle profonde caverne, il basso frusta inferocito e la batteria spesso in blast e comunque utilizza in maniera smisurata il doppio pedale. Mazzate dall’inizio alla fine, ma con un pizzico di dolcezza!Con WET VEILS aumenta il pathos grazie ai suoi riffs intriganti e più melodici della precedente, ma ci troviamo sempre dinanzi a scariche brutali cantate gutturalmente, anche qui il drumming non si risparmia e le parti solistiche sono di nota. Stupendo il momento arpeggiato con l’aggiunta di un solo di chitarra come intermezzo, capace di farci sognare…SENTIMENTAL WORSHIP è il giusto connubio tra strofe fantasiose e malsane, questo grazie ad una parte sorretta da un basso pulsante e ricco di gusto armonico ed un arpeggio capace di imprigionare, invece il resto della canzone si regge su up tempos e riffs inferociti con sbalzi di blast beats distruttivi. Anche qui il solo di chitarra da un certo spesso al pezzo, bellissimo già di suo. Ma adesso basta è ora di crudeltà e violenza sonora inaudita e la partenza di GOLDEN CONUNTESS WINE riesce a rappresentare a pieno queste caratteristiche, possiede riffs capaci di lacerare la carne e viaggia a mille, fortunatamente qualche momento più riflessivo non manca, ma non vi basterà per uscirne illesi. I tempi si rallentano notevolmente con l’intro di SERVANTS OF MORALITY ma giusto per poco, anche se la canzone tende ad essere più cadenzata le sfuriate stile saetta non possono passare inosservate, tante martellate sui denti a suon di Death Metal puro. Però i momenti che mi sono piaciuti di più sono sempre quelli più melodici che riescono a spezzare la devastazione totale, nuovamente troviamo un basso che ghermisce l’anima, assieme ad un arpeggio dinamico, tutto sorretto dalla doppia cassa incessante…Si sente maggiormente l’odore di Swedish Death Meatl in CARNAL BEAITUDE,specialmente nell’introduzione lenta ed armoniosa, poi a testa bassa senza rimorsi a mietere vittime con riffs infernali e cambi di tempo, ancora una volta il drumming è ossessivo e lascia poche vie d’uscita, le vocals sempre più strazianti e sempre di tonalità basse. PIGO GOD DOG è un pezzo strumentale, dove i musicisti danno libero sfogo all’amore per la musica estrema e alla tecnica, intrecciati cambi di tempo e note come pioggia acida che corrode la pelle ed un passo prepotente che non vuole essere messo in disparte.Con HOLY HOLE esce fuori il marciume della band, una struttura abbastanza semplice composta da riffs massacranti e la solita batteria stile panzer vi assaliranno alle spalle, il tutto reso più raccapricciante dai gorgheggi vocali, belle le parti accelerate dove le chitarre ed il drumming vanno ad unisono sparata come missili…Si conclude in bellezza con un’altra strumentale, stavolta sotto il nome di A RELIGION – FREE WORLD’S DREAM, e rimanendo in tema di sogni, questo pezzo finale vi aiuterà ad addormentarvi grazie alla sua delicatezza e le sue armonie che sfumando leviteranno in aria per tutta la vostra stanza …
Posso dire che senza alcun dubbio trattasi di un lavoro con i fiocchi, consigliatissimo agli amanti delle sonorità grezze del death metal datato ma anche a quelli che ricercano maggiormente momenti melodiosi, qui è tutto in sintonia.

martedì 13 marzo 2012

ILLOGICIST - The Unconsciousness Of Living (Alone Music)


Illogicist
The Unconsciousness Of Living
aThe Unconsciousness Of Living

Tracklist

  • 1. Ghost Of Unconsciousness
  • 2. Hypnotized
  • 3. Perceptions From The Deceiving Memory
  • 4. The Mind Reaper
  • 5. A Past Defeated Suffering
  • 6. The Same Old Collision
  • 7. Misery Of A Profaned Soul
  • 8. A Never Ending Fall

Genere

Metal

Etichetta

Willowtipe Rec./Candlelight Rec.

Voto

7,5 su 10
Tecnica maniacale, tagliente come una lama affilata, un groove ipnotico e ricco di sfumature, perpetuo ed incisivo.
Illogicist - The Unconsciousness OF Living.

Previa lasciarsi andare...completamente. Nell'incipit ho riassunto ciò che a primo impatto vien fuori dall'ascolto di The Unconsciousness OF Living,  un lavoro che non presenta sbavature, che riesce ad arpionare l'ascoltarore già dai primi momenti, lo trattiene fino alla fine. Mi riferivo, appunto, alla straordinaria tecnica, mostruosa, espressa in questo lavoro da una delle band Technical Death più promettenti del panorama dell'Underground Italico. E' una di quelle poche band che riesce a fondere, e lo fa, ovviamente, in maniera splendida, l'arte alle emozioni più profonde. Son riusciti a connettere, ad impostare, un album su solide basi tecniche strumentali e su concetti profondi, impregnati di quelle sensazioni che sono riconducibili alla vita che vien vissuta giorno per giorno. Il riffing d'ascia, chiaro e deciso, acuto e stimolante, incantatore, che assume angolazioni differenti in ogni frangente, segno della pura follia compositiva del combo, viene seguito pari passo da un groove corposo, rude, a cui si affianca un tappeto di basso che sembra volerci seguire, furtivo, ad ogni costo. La voce, acuta e dilaniante, squarcia quel velo inserito tra la tecnica e le emozioni, tra il mondo concreto dell'essere e il volto onirico del sentire, fondendoli in un tutt'uno che sa di perfezione. E' una sensazione che viene colta a pelle, e che pian, piano s'avventa sui sensi.


Complimenti.

ILLOGICIST - The Unconsciousness Of Living (Metal Injection Review 9\10)

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Axiomatic in all technical variants of heavy metal – whether it be prog, thrash, death or otherwise – is that it is as much about the quality of the riff as your ability to warp time signatures into hairpin turns.  The latter emphasis was elevated to a peak of outright burlesque on Spiral Architect's lone album, 2000's singular masterpiece A Skeptic's Universe.  Chops as outsider art-in-itself was so comprehensively explored on that album that even the members of Spiral Architect themselves have spent over a decade at the drawing board figuring out how to follow it up.
Compared to Decapitated – whom many would posit the best in the world right now at this technical death metal thing – Illogicist is just that much more devoted to the riff itself.  Comparisons do not otherwise arise naturally because, in spite of ties to death metal due to cookie monster vocals and the occasional blast beat, Illogicist primarily hark back to the early 90's template of Cynic and Death, a thrash-paced, fluid assembly of jagged yet catchy riffs that seemed diced up and reassembled William Burroughs style but never really bash you over the head with sheer velocity.
The opening chords of "The Same Old Collision" deftly illustrate this, a chunky riff trilling away into escalating triplets before reconsidering, returning to a moderate pace, and then starting over again.  By the time the vocals kick in, that opening riff pattern has long been cast aside but the trade off between melodic single note leads and brutal power chords stitched together out of fractured time signatures is a recurrent theme throughout the song, and really the album as a whole.
Probably the smartest move Illogicist made in crafting The Unconsciousness of Living was in not trying to outdo 2007's breakthrough, The Insight Eye.   The production has opened up and is far crisper here, but otherwise the band continue playing to their strengths instead of attempting to go completely over-the-top (if you put any stock in interviews, most metal musicians seem to insist that each of their albums is their most brutal to date; motherfuckers need to quit).

Free of the song intros and keyboard interludes that mar and bloat most prog-related metal albums, The Unconsciousness of Living is a brisk 45 minutes that gives one all the dizzying technicality they can handle without ever overstaying its welcome.  Illogicist are not quite earth shattering enough in their originality to earn the type of effusive hyperbole the likes of Opeth and Meshuggah enjoy, but make no mistake:  in the context of semi-traditionalist technical thrash they're easily among the best at what they do, and until now have not gotten nearly the credit they deserve.  It's high time to change that.
9 out of 10

CHAOS PLAGUE - S\T (True Metal Review 71\100)


ItaliaChaos Plague
Chaos Plague
2012, Autoprodotto
Death
Pubblicata in data: 07/02/2012
 
Il death metal è croce e delizia di ogni musicista estremo che si rispetti. Sostanzialmente, se vogliamo esaminare con occhio critico la situazione, le strade da percorrere sono due per una band che si cimenta in questo genere: la prima è quella della spinta puramente in your face puntando alla sostanza e riducendo all'osso il proprio suono in virtù di una forza d'urto senza eguali (Gorefest eAutopsy, ad esempio). La seconda, e forse più complessa, è quella che intreccia il virtuosismo tecnico con la brutalità e buone dosi di progressive come fecero ai tempi gente come Atheist,Pestilence e compagnia putrescente.

Chaos Plague decidono di percorrere la seconda via mettendo in fila tre pezzi con un approccio decisamente tecnico e progressivo, ma senza perdere di vista la componente sulfurea e violenta propria del death metal. Assalti all'arma bianca miscelati con sapienza a intermezzi melodici, il tutto guidato da armonie su cui si intrecciano gli strumenti a corda.

Posto il fatto che valutare seriamente l’operato di una band con soli 17 minuti di musica è piuttosto complicato, dai tre pezzi messi in piedi dai Chaos Plague si possono comunque stilare una serie di pregi e difetti. Partendo dai primi, sicuramente il già citato intreccio tra gli strumenti a corda è da segnalare come punto di forza dell’Ep. Inoltre il basso di Matteo Salvestrini è piuttosto in evidenza con grande gioia di chi apprezza le sonorità calde e al contempo tuonanti di tale strumento. Il riffing delle chitarre di Simone Fontana e Davide Luraghi è aggrovigliato al punto giusto, così come il growl di Francesco Patea è cupo e pesante come da tradizione.

I punti dolenti arrivano quando si tratta delle parti di batteria ad opera di Stefano Tarsitano, soffocate da un mix che non le valorizza appieno e da arrangiamenti talvolta non così azzeccati. In realtà, lo scoglio più grande è dato dalla qualità della registrazione, a tratti piuttosto zoppicante. Il tutto si risolve in un sound che non rende certo giustizia alla proposta musicale e al genere dei Chaos Plague fatto di stacchi epilettici al fulmicotone che ricordano da vicino le strutture dei Sadus e dei Death più progressivi, miscelati a porzioni melodiche al gusto di Borknagar e Arcturus.

Sostanzialmente, in tutto questo miscuglio di stili, ciò che emerge è un buon collage che necessita sicuramente di accorgimenti, ma che costituisce un'ottima base di partenza per un futuro roseo. Se i Chaos Plague punteranno su un sound più definito e “rotondo” potranno entrare nel novero delle promesse del death metal nostrano.

Andrea Rodella

Discutine sul topic relativo al Death Metal

Tracklist:
1 – In Death I Trust
2 – Chirality
3 – Sinner's Regret

Durata: 17:03 min.

Lineup:
Francesco Patea – Vocals
Simone Fontana – Guitar
Davide Luraghi – Guitar
Matteo Salvestrini – Bass & Backing Vocals
Stefano Tarsitano – Drums

DEADLY KISS - Alone In The Void (Suoni Distorti Magazine Review)




Il monicker Deadly Kiss evoca fin dal titolo un celebre brano dei Kyuss, band storica nell'ambito dello stoner: L'accostamento, neanche a dirlo, appare molto poco casuale. Non mi azzardo a proporvi una definizione che possa dirsi univoca per questo genere musicale, poichè si tratta di un filone piuttosto complesso da delinare che, peraltro, sembra tributare più il rockclassico (soprattutto psichedelico) che il metal di per sè. In basso ho scritto "stoner/alternative": un'etichetta intercambiabile con "doom/sludge", "acid southern"...
insomma, ci sono più influenze in una sola band, e non sono neanche tra le più comuni. Certo è che nell'anima dei Deadly Kiss (Babol, Cricket, Mark e Chando) paiono coesistere due identità: la prima basa l'approccio musicale sul doom più pesante che possa esistere, la seconda finisce per contaminare nel modo più malato possibile il risultato finale.

I Deadly Kiss provengono dalla provincia di Ferrara (precisamente da Comacchio), ed ereditano gran parte delle proprie influenze da quanto definito - se vogliamo dire così - dallaband di John Garcia. Questo, prima che essere un onore, appare un po' come un freno all'inventiva della loro musica: se è vero che dall'ascolto di questo breve EP (5 brani disponibili su SoundCloud) non mancano le premesse per produrre finalmente musica che sappia valicare etichette e generi con indipendenza ed incisività, rimane costante un legame piuttosto indissolubile (e lo noto dal primo ascolto) con i Down di Phil Anselmo. Forse l'assonanza sarà stata ripetuta in numerose altre occasioni, ma è realmente il primo esempio che mi sobbalza in mente, ed è un dettaglio importante a mio parere. Babol, come del resto altri hanno scritto prima di me, dimostra di avere capacità canore piuttosto fuori dal comune, sebbene si leghi troppo allo stile del cantante dei Pantera (R.I.P.); di fatto aleggia su tutto il disco un sostanziale "cappio invisibile", che finisce per incatenare virtualmente la band a schematismi musicali a volte troppo prevedibili.

Nonostante questo trovo impossibile non farsi conquistare da brani come "Sister's screaming" (un riffone ossessivo che sa di blues e southern rock, capace di catturare immediatamente), dalla "ultra-panteriana" "Mysatan" (un grandissimo pezzo) e dall'ulteriore mattone (in senso positivo!) "Brainwash". Del resto i Deadly Kiss sono così, prendere o lasciare: un sound che si modella dalle sperimentazioni del succitato side-project e che si espande in direzioni così disparate che è impossibile citarle tutte. Direi - per fare un elenco sommario - il veleno della primissima psichedelia, il "rumore" dei primi Black Sabbath e quel saporaccio grunge che personalmente non apprezzo e che, cosa ben più preoccupante, finisce per diluire eccessivamente l'impatto globale. Credo in ogni caso che non manchino i presupposti per darci dentro con la buona musica old school, che - nell'era dell'elettronica anche nel brutal metal - abbiamo forse smarrito un po' tutti. Mi auguro, allora, che band come i Deadly Kiss, di cui non posso esimermi dal segnalare la buona performance di tutti i musicisti (e del chitarrista in particolare), possano crescere in modo tale da imporre una tendenza propria, originale - acida, cattiva o velenosa che dir si voglia -  piuttosto che subirne una qualsiasi inconsciamente. 
So bene che non è semplice, ma non doveva esserlo nemmeno quando i Voivod, i Death o gli stessi Down decisero che il loro genere doveva essere "qualcosa in più". E grazie al loro contributo, magari criticato sul momento e capito molti anni dopo, nuove direzioni si poterono delineare. Ovviamente stiamo parlando di una band agli esordi, per cui non prendete troppo alla lettera gli esempi che ho scomodato: mi auguro, più semplicemente, che i Deadly possano allargare la propria dimensione musicale con coerenza, continuità e - direi soprattutto - osando un po' di più già dalla prossima occasione.

A cura di Salvatore Headwolf
Band: Deadly Kiss
Titolo: Alone in the Void
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Genere: Stoner/Alternative
Nazione: Italia


Tracklist:
1. I Want Your Brain
2. My Satan
3. Brainwash
4. The Grandfather Is Dead
5. Sister’s Screaming


Lineup:
Babol (Voce, chitarra)
Cricket (Chitarra)
Mark (Basso)
Chando (Batteria)

FAUST - From Glory To Infinity (MetalCrypt 76\100)


The brainchild of Aleister, former touring guitarist for Ancient, Faust released an EP wayyy back in 2001 that got some good press, and this is their debut album, released after 17 years in existence, From Glory To Infinity. I have never heard their EP, so I wasn't quite sure what to expect, as I know this band is considered rather technical, and does in fact feature bass legend Steve DiGiorgio as a session member.
The first thing that struck me about this was the degree of melody to be found. I was expecting something very busy and technical, which it is, but this is not as brutal as I expected, and has a lot of hooks. In places it is a little too melodic, and seems at odds with the guttural vocals and blasting drum work, as on "Golden Wine Countess". But overall the riffs are solid, and while the guitar sound is a bit restrained, that's obviously so the bass can be heard, as if you have Steve freaking DiGiorgio, you don't want to waste him. The leads are pretty damned good, though they are mixed a bit louder than I would like. Overall this is an entertaining disc of techy Death Metal, obviously influenced by the jazzy stylings of Cynic and Atheist, but not as wanky and busy as that would imply. High-speed drumming keeps the energy level up, and despite that this features many elements I am suspicious of, I enjoy this album. Worthy.



ILLOGICIST - The Unconsciousness Of Living (Metallized 88\100)


Illogicist - The  Unconsciosness Of Living

La Valle d’Aosta è la regione più piccola, meno popolata e la seconda più ricca  d’Italia; una geografia tanto affascinante quanto particolare nei suoi differenti aspetti morfologici da portarla  per certi versi a diventare una gemma decontestualizzata dall’intero panorama del nostro caro bel paese. L’aria  pura che  ti inonda i polmoni e  i ruscelli che ti ispirano la domanda: “cosa c’è di meglio al mondo?”. Sarà probabilmente merito questa piccola regione, tanto differente dal resto dell’Italia, che i musicisti coinvolti qui non s’inseriscono all’interno dei tipici standard melodici nazionali.

Si sa che nei territori di montagna si narrano sempre leggende e storie di altri tempi, creature misteriose e incontri ravvicinati del terzo tipo. Anche nell’ormai lontano 1997 un incontro  tra ragazzi ha dato vita ad una creatura di bellezza musicale sorprendente, al limite del soprannaturale; un’unione di tecnica e  intensità che prima  d’ora  si era vista solamente nelle lontane  terre  della Florida  meridionale, là dove  un signore di nome Chuck Schuldiner diede  vita  ad  un mastodonte che  tutti ricordiamo chiamato Death.

E’ proprio in Florida che questo platter prende le sue radici e  le allunga sino alla Valle D’Aosta dove  gli Illogicist sono riusciti a far rivivere gli echi d’oltreoceano. Appresa la lezione di maestri quali i già citati Death, gli Atheist e i Pestilence, i nostri sono riusciti far riaffiorare ricordi di quel tecnicismo che, una volta,  era pura espressione di un’anima in costante litigio tra inferno e paradiso, mentre oggi è divenuto  totale autoproclamazione del chitarrista di turno senza un briciolo di passione.

Andando ad approfondire il tema prettamente musicale di questo piccolo gioiello dei tempi moderni si nota come la produzione porti a valorizzare  ogni singolo passaggio. Il basso diDattolo ricorda molto quello del miglior Steve Di Giorgio e diventa  strumento a sè, non più di sfondo, creando una struttura con vita propria. Le chitarre son pulite e la loro dose  di cattiveria  e armonia esce ad ogni cambio di tempo; Ambrosi e  Minieri hanno effettuato un accurato lavoro per  portarci in lidi caleidoscopici distorti. Proprio Minieri si occupa delle vocals e queste hanno un vago richiamo al tipico cantato blackish; infatti la doppia vocalizzazione dona un’enfasi lugubre e ricorda quella puzza di zolfo che risiede all’interno di The Unconsciosness Of  Living e che diventa protagonista. Ultimo, ma non per importanza, il pregevole lavoro di Tinti alle casse, dove un Gene  Hoglan al massimo della forma sarebbe  onorato di sentirsi messo in causa come termine di paragone  per  i quarantacinque  minuti della durata.

Considerando la proposta  e  la descrizione  fatta sino ad ora  potrebbe venire  in mente una domanda:  “ma non abbiamo già sentito queste note?”. Infatti l’unico neo, se così possiamo dire, risiede  proprio nel “già sentito”, nella mancanza di una vera innovazione  e  di un  “vorrei, ma non posso” che,  probabilmente, ha convissuto con la band durante l’arco di tutta la fase compositiva  del disco. Le canzoni per quanto di ottima fattura richiamano a “tout court” ogni composizione già creato dal nostro caro Chuck andando a ripescare ogni elemento presente in dischi quali Human e Symbolic.

Le canzoni scivolano via in maniera fluida ed è quasi impossibile citarne una fra tutte e definire le migliori del lotto. Una volta premuto il pulsante “play” per  i successivi tre quarti d’ora  sarete pervasi da una pioggia di cambi tempo, melodie  e  sfuriate  al limite del umana comprensione. Canzoni quali Mind Repaer ed Hypnotized saranno impossibili da scordare sin dal primo approccio e non ci sarebbe nulla di strano nel sorprendersi a canticchiarle nella nostra testa di continuo.

Gli anni trascorsi dall’uscita di The Insight Eye son tanti, ben quattro, ma  come  non poter  dire che ne è valsa la pena?. La tecnica è stata notevolmente migliorata, le canzoni son meno barocche e più dritte al punto, per quanto non lineare esse siano. La consapevolezza delle proprie capacità ha fatto sì che il marchio del gruppo rimanesse intatto senza andare a snaturare la propria anima ormai maturata a pieno. Un prodotto sopraffino che farà sicuramente aprire un varco di luce all’interno del mercato sovraffollato di gruppi vuoti e senza linfa vitale.
La musica  è arte e gli Illogicist hanno scolpito il loro David nel 2011; attendiamo che il mondo li riconosca e non li lasci sprofondare nell’oceano di gruppi definiti solamente  “bravi”.
Questo disco è la guida che  ci porta non in un tranquillo paesaggio di collina, bensì attraverso un cammino tra le  cime  vertiginose di montagne senza  età dove d’ora in poi i racconti dello yeti saranno affiancati da quelli n un gruppo di ragazzi che si facevano chiamareIllogicist.

L’incoscienza del vivere è proprio quella di saper rischiare senza avere paura. 

lunedì 12 marzo 2012

DEADLY KISS - Alone In The Void (Alone Music Review)


Deadly Kiss
Alone in the Void
aAlone in the Void

Tracklist

  • 1. I Want Your Brain
  • 2. My Satan
  • 3. Brainwash
  • 4. The Grandfather Is Dead
  • 5. Sister's Screaming

Genere

Metal

Etichetta

Autoprodotto

Voto

6,5 su 10
Alone in the void è il titolo dell’EP di esordio dei ferraresi Deadly Kiss, cinque tracce per dare un assaggio del loro stile e proporsi al loro pubblico. Le tracce sono piuttosto discontinue ed diverse nel loro genere richiamando il thrash in alcuni punti e diventando più doom in altri.

Molto belli My Satan, in tipico stile Pantera, e Brainwash fino alla accattivante Sister’s screaming, trascinante e orecchiabile. La preparazione tecnica della band e le idee sono decisamente buone, manca forse un po’ di esperienza che con il tempo potrebbe far emergere il potenziale di questi ragazzi. Le influenze di gruppi come Pantera e Down sono piuttosto forti e con un po’ più di esperienza questi ragazzi potrebbero anche tentare di distaccarsi trovando il loro sound e la loro identità.

Ma diamo tempo al tempo, i Deadly Kiss sono solo all’esordio e hanno tutte le capacità per poter fare bene.