I Signs Preyer, al debutto con un disco che farà discutere
Autore: Signs PreyerTitolo: Signs Preyer
Etichetta: Red Cat Records
Anno: 2013
Se
non fosse già stato utilizzato come nome, i Signs Preyer si sarebbero
dovuti chiamare Roilling Stones. Non tanto per il genere, che con il
gruppo di Jegger e soci per nulla concilia, ma per la sensazione che
danno. Sonon un vero e proprio macigno sonoro. Mastodontici, pesanti,
senza compromessi. Questo non significa riffing accelerati o violenza
insensata. Significa la pesantezza dei Candelmass unita ad un certo
gusto southern con spruzzate di stoner, non noise. Questo l’omonimo
primo disco. Il gusto per un certo tipo di sound comunque oscuro si
esplicita chiaramente in una ghost track (di cui non si svela la
posizione). Un plauso va sicuramente al produttore della Bonsai Record
che è riuscito a dare la giusta rilevanza al songwriting del gruppo. Il
disco arriva dopo una intensissima stagione live che ha visto i nostri
aprire per Pino Scotto nel
“Datevi fuoco tour” e “Buena Suerte”, Fuzz Fuzz Machine, Killing Touch, Lento, Trick or Treat
e
molti altri gruppi di spicco del panorama rock metal italiano. Ma non
solo. I SP hanno accompagnato anche Helmet, Lafaro, Paul Di Anno, e i
Corrosion of conformity.
Il
full lenght apre con Anger che subito mette le cose in chiaro. Intro
arpeggiato e incalzare di batteria e chitarre fino all’apertura e
ingresso a pieno ritmo. Suoni decisi e maestosi offrono ottimo supporto
alla voce di Ghode Wielandt (Corrado Giuliano). Tecnicamente la band si
presenta ben preparata a il mid tempo è un buon modo per poter offrire
all’ascoltatore passaggi degni di nota come nel bridge dell’opening.
Decisamente azzeccato anche il cambio di tecnica e metrica del cantato
verso i ¾ della canzone che nonostante i superi i 4 minuti, non annoia.
Si
prosegue con Bitch Witch. Il riferimento stilistico cambia lasciando
spazio a riff più southern con un incedere incalzante sempre
caratterizzati dai suoni pieni. Pochi fronzoli e quella sporcizia tipica
del deserto accompagnano il brano nei solo e fino alla fine dove si
note un’altra variazione.
Più
“contemporanea” con riff e atmosfere più accessibili It Comes Back
Real, terzo brano. Da sottolineare il grande lavoro delle due chitarre
che costruiscono un tappeto intricato e mai banale ottimamente
supportato dalla sezione ritmiche che non è da meno senza avvalersi di
sfuriate di doppia cassa o suoni triggerati.
Si prosegue con Just to kill you dove viene in evidenza la forza di Viktor Kaj (Andrea
Vecchione
Cardini) al basso. Plauso per i suoni scelti, decisamente azzeccati e
circostanziati. Sorprendente l’accelerazione finale che rompe il ritmo
cadenza fino a quale momento portato.
Risente di decise influenze grunge, Alice in chains per la precisione, la successiva Killer Intinct.
Dal
riffin alla cadenza del cantato passando per i ritmi di batteria, i SP
qui devono molto al gruppo di Jerry Cantrell. Il che non è
necessariamente un male se l’omaggio è filtrato, come nello specifico,
dalla personalità.
Di
fattura decisamente più thrash la successiva Painless Pain dove ancora
una volta si nota la perizia della sezione ritmica. I controtempo di
James Mapo (Giacomo Alessandro) sono davvero pregevoli. Al gruppo non
piace la noia e i cambi si tempo sono continui e repentini, ma sempre
conseguenziali.
La
ballad del disco apre con un refrain quasi free jazz per poi aprirsi in
un arpeggio acustico di panteriana memoria. E i la band di Anselmo in
questo frangente è il richiamo più immediato anche se non si tratta mai
di plagio o mancanza di idee. Si tratta di semplici richiami stilistici.
Viaggia
su terreni speed la seguente Hell, il brano più “veloce” del disco e
uno dei più variegati con decisi cambi di atmosfere e tempi ma senza mai
esagerare.
Conclude
la decisa cavalcata metallica Signs Preyer, più hardrockeggiante e
aperta ma sempre pesante. Apprezzabile la prova solistica delle due
chitarre che si scambiano a solo e riff senza difficoltà.
Nel
complesso un disco decisamente valido. Ottimamente suonato e prodotto.
La band dimostra di avere la giusta dose di personalità per non perdersi
nei propri riferimenti e non essere troppo derivativa (comunque si
tratta del primo disco). Un eccellente punto di partenza per i giovani
di Orvieto. Una band che ha molto da dire e di cui si sentirà ancora
parlare.
Tracklist
- Anger
- Bitch Witch
- It comes back real
- Just to kill you
- Killer instinct
- Painless pain
- Dark soul
- Hell
- Signs Preyer
Line Up
Ghode Wielandt (Corrado Giuliano) Vocal/Guitar
Eric Dust (Enrico Pietrantozzi) Guitar
Viktor Kaj (Andrea Vecchione Cardini) Bass
James Mapo (Giacomo Alessandro) Drums
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